Mobilità sociale e mondo del lavoro nell’Italia basso medievale

Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio
Cagliari, giovedì 18 dicembre 2014 ore 9.15

Giuliano Pinto (Firenze), manifatture rurali,
Franco Franceschi (Arezzo), manifatture urbane
Donata Degrassi (Trieste), industria mineraria.
Maria Paola Zanoboni (Milano), lavoro femminile.

Questionario sottoposto ai relatori

Sarebbe importante, innanzitutto, discutere dell’argomento imprenditorialità come capacità di trovare nuovi clienti e attrarre capitali e quindi in generale di creare attorno a sé e alla propria attività un clima di fiducia crescente. L’allargamento della clientela e l’accumulazione della ricchezza dovranno essere indagate attraverso due categorie consolidate: produzione di cose nuove oppure produrre cose tradizionali con metodi e mezzi diversi. Sarà inoltre importante descrivere i processi di acquisizione delle professionalità (soprattutto nel mondo dell’artigianato qualificato e delle corporazioni di mestiere) e del modo in cui queste vengono spese sul mercato ma non solo: pertanto, accanto all’analisi dell’eventuale successo sul piano professionale, dovrà essere considerato anche e soprattutto la crescita di status sociale nella considerazione generale. Per questo sarà importante avere un occhio di riguardo per il riconoscimento pubblico dell’importanza di alcuni mestieri e di alcune professionalità.
Nello specifico degli singoli interventi si dovrebbe tenere conto dei seguenti quesiti:

    a) Nell’ambito degli insediamenti rurali esisteva una ‘borghesia di castello’? E se sì quando e come si era formata? Con quali caratteristiche? Quale fu la sua evoluzione nel corso della cosiddetta crisi trecentesca? Quale rapporto dialettico è possibile ricostruire, per differenti aree regionali italiane, tra il fenomeno della mobilità sociale nei borghi rurali e il ruolo di attrazione dei centri urbani?
    b) Nel mondo manifatturiero cittadino erano ovviamente possibili ascese economiche e sociali anche importanti, ma nell’ambito di quali mestieri? In particolare esisteva o no un diaframma sociale tra chi si occupava di aspetti manageriali e imprenditoriali in genere e chi esercitava un mestiere per quanto professionalizzato e qualificato esso fosse? E, inoltre, nell’ambito dei mestieri artigiani, esistevano delle realtà urbane disposte a premiare più di altre i talenti e le capacità professionali? E se sì per quali motivi?
    c) L’ambito minerario è generalmente percepito come quello dei tecnici per eccellenza e delle migrazioni qualificate anche sulle lunghe distanze. Tangheroni ad esempio ipotizzò che la parola di origine tedesca ‘guelco’ (fonditore di vene di argento) presente nel Breve di Villa di Chiesa presupponesse un’immigrazione di tecnici di area germanica incentivata dai Donoratico (fondatori della città sarda, ma già promotori di villaggi minerari in Maremma). Quanto è vera questa impressione? Esistono testimonianze italiane esplicite sull’importanza attribuita all’esperto minerario nei secoli del basso medioevo? In quale misura l’expertise veniva remunerata non solo da un punto di vista meramente economico? Esiste un numero sufficientemente numeroso di carriere professionali di successo? Quanto questi tecnici erano richiesti da paesi vicini e lontani? Fino a dove essi erano disposti a spostarsi per conseguire una promozione economica e sociale?
    d) Per il lavoro femminile, innanzitutto andrà chiarito se parliamo di lavoro urbano o rurale o di entrambi. In ogni caso si dovrà evitare il rischio di descrivere i mestieri femminili o di limitarsi alla pur importante scoperta di lavori ‘virili’ effettuati da donne. Viceversa quali erano gli ambiti nei quali poteva svilupparsi una specifica professionalità femminile, tale da comportare una, comprensibilmente relativa, mobilità sociale? Sarebbe inoltre possibile individuare fonti che facciano luce sui differenti gradi di approvazione etico-sociale per queste lavoratrici?